Le epigrafi nel museo di Carife

Due Epigrafi, quella di "Marcus Mevius" e "Lucius Sabius" raccontano la storia di questo territorio dopo la romanizzazione.

La stele funeraria di Marco Mevio

La stele funeraria di Marcus Mevius, quattuorvir iure dicundo, venne ritrovata durante lavori di scavo conseguenti al terremoto del 1980 in località Aia di Cappitella presso Carife (AV).

L’epigrafe, in calcare locale, misura, compresa la parte grezza, che serviva per fissarla in terra, cm 157 (h.) x 66 (largh.). Il testo dell’epigrafe, databile secondo Evangelisti al periodo compreso tra il 1 e il 50 d.C., è il seguente (SupplIt, 29, 2017, p. 178, nr. 20):

Mevius P. f.
Cor(nelia) Cleme(n)s
aed(ilis) q(uaestor) IIIIvir iur(e) d(icundo)
sibi et suis.

La stele presenta un frontone decorato ai lati con due falsi acroteri e al centro con una gorgone fra due delfini. La gorgone, elemento classico nella rappresentazione funeraria, ha in genere uno scopo apotropaico ed è legata al mondo dionisiaco; i delfini invece simboleggiano il passaggio per mare dell’anima nel mondo dei morti. Si tratta dell’unico caso finora noto di presenza di tali elementi decorativi in area irpina. Interessante è anche la presenza di due fasci all’interno del campo epigrafico, fasci che dividono le prime tre linee del testo dalla quarta linea. Questi fasci, a differenza di quanto avviene per quelli presenti in numerose epigrafi funerarie simili, come quella geograficamente e cronologicamente vicina riguardante un duovir di Abellinum, non delimitano il campo epigrafico, ma sono inseriti in esso ed hanno per questo un’altezza relativamente meno elevata.

L’espressione sibi et suis alla linea 4 ci rivela che la nostra stele doveva essere posta nei pressi di un sepolcreto familiare, che sorgeva verosimilmente in un praedium della gens Mevia in quel territorio.

Il gentilizio Mevius (= Maevius) risulta essere assai raro nella regio II: oltre che a Larinum, ricorre soltanto ad Aeclanum per la uxor di un sevir Augustalis di II secolo (Maevia Fortunata, CIL IX 1195). La menzione della tribù Cornelia fa decisamente propendere per l’attribuzione del nostro quattuorvir ad Aeclanum, e quindi per l’ipotesi che Carife all’epoca facesse parte del territorio eclanese. Ciò appare confermato anche dalla presenza in due altre epigrafi (CIL IX 1414 e 1415), senza alcun dubbio databili al II secolo d. C. e provenienti da Flumeri, di due duoviri, di cui uno (CIL IX 1414) appartenente alla stessa tribù Cornelia. È significativo rilevare come entrambi questi duoviri appartengano alla stessa gens, quella dei Tiberii Claudii, famiglia ben attestata ad Aeclanum (CIL IX 1156) fra quelle del notabilato della grande città irpina. È assai probabile che questa gens avesse, come quella di Mevius, proprietà fondiarie nel territorio dell’odierna Baronia, se consideriamo anche come sia CIL IX 1414 che CIL IX 1156 mostrino entrambi i Tiberii Claudii incaricati della costruzione/restauro della via che andava in Puglia, compito che in generale spettava ai proprietari fondiari lungo il percorso della strada.

L’attribuzione del nostro Mevius ad Aeclanum è inoltre perfettamente in linea con quanto conosciamo della storia istituzionale della grande città irpina, municipium con IIIIviri dopo la guerra sociale e poi colonia Aelia Augusta dall’età adrianea, quando cominciano a comparire i duoviri.

[Ferdinando Ferraioli]

Epigrafe di Patulacio Basso

L’epigrafe, rinvenuta da Dressel in contrada Serra di Marco tra Carife e Castel Baronia, è ora nel museo di Carife. Le misure sono 54×66 cm. Il pezzo si può datare, secondo Evangelisti, tra il 30 a.C. e il 30 d.C..
La trascrizione è la seguente (SupplIt, 29, 2017, p. 154 = CIL IX 1413)

[L(ucius)] Ṣalvius L(uci) l(ibertus) Agato,
Patulacia P(ubli) l(iberta) P̂hilem̂atio
et
P(ublio) Patulacio Basso.

Si tratta dell’iscrizione sepolcrale di tre liberti L. Salvius Agato, Patulacia Philematio e P. Patulacius Bassus.
Ad Aeclanum il gentilizio Patulacius è attestato in CIL IX 1139 e AE 1997,391, e anche sotto la forma Patlacius (IX 1140). Si tratta di una variante del gentilizio Patulcius, diffuso invece in tutta Italia. Si noti che nella nostra epigrafe il lapicida non aveva inizialmente inserito la A, trasformando il rarissimo Patulacius nel più comune Patulcius.

[Ferdinando Ferraioli]

Riferimenti bibliografici essenziali
  • G. Camodeca, Note sull’Irpinia in età romana, in A. Visconti – M. Lanzillo (a cura di), Studi sull’Irpinia antica, Napoli 2021, pp. 89-130.

  • S. Evangelisti, Supplementa – Regio II. Apulia et Calabria. Aeclanum – Ager inter Compsam et Aeclanum, in Supplementa Italica, n.s., 29, Roma 2017, pp. 37-251.

  • M. Romito, Guerrieri sanniti e antichi tratturi nell’alta valle dell’Ufita, Battipaglia 1995.